Di cosa si tratta e come funziona

Si pensa in genere che la psicoterapia debba essere necessariamente un percorso, lungo, laborioso, complesso e molto costoso. Si crede anche che essa comporti una notevole dose di stress per il paziente, il quale sarebbe costretto a mettersi a nudo, davanti a un estraneo determinato a indagare tutti i suoi segreti più intimi, le sue infantili paure e i suoi inconfessabili desideri.

"'Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle'".

In effetti, qualcosa di simile accade a volte in alcune tra le almeno cinquecento differenti forme di psicoterapia oggi esistenti.

La Terapia Strategica non prevede che il paziente si avventuri in un percorso iniziatico per migliorare la conoscenza di sé, né che sperimenti una confessione catartica, né tantomeno che egli sia addestrato a uno specifico allenamento allo scopo di abituarsi a convivere con i propri problemi.

Ciò che interessa alla Terapia Strategica è sbloccare in maniera rapida, efficace e diretta il problema invalidante che il paziente porta in seduta.

Secondo uno studio effettuato presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, condotto analizzando le percentuali di successo terapeutico in un campione di oltre 3,800 pazienti trattati, emerge che, nel 92% dei casi il problema presentato durante il primo colloquio è stato risolto in meno di 10 di sedute.

La Terapia Strategica, è concepita e strutturata come una sorta di partita a scacchi: si sviluppa attraverso mosse e contromosse, messe in atto alternativamente dal terapeuta e dal paziente.


'86% di efficacia terapeutica con una media di 7 sedute' G. Nardone, P. Watzlawick 2004

Alla fine di questa << partita >>, che è parte di un gioco molto serio, entrambi vincono o perdono assieme: la vittoria è l’eliminazione del problema presentato dal paziente, la sconfitta è la sua mancata eliminazione entro un breve intervallo di tempo (di solito entro una decina di sedute).

Le mosse del terapeuta consistono, per la gran parte, nella prescrizioni di compiti che il paziente deve svolgere al di fuori della seduta; essi sono finalizzati al raggiungimento di obiettivi concreti, stabiliti fin dalla prima seduta, di comune accordo, dal paziente e dal terapeuta.

Gli obiettivi concreti a loro volta sono pianificati allo scopo di eliminare il problema presentato dal paziente.

Secondo l’approccio sviluppato a partire dagli anni ’90 presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, l’ottica del trattamento non prevede di procedere dalla teoria alla pratica, bensì al contrario: anziché spiegare al paziente le cause inconsce del suo problema (nell’ipotesi che ciò basti a risolverglielo) o tentare di modificare astrattamente i suoi schemi di comportamento appreso (facendogli fare esercizi faticosi e ripetitivi), si farà sperimentare al paziente qualcosa di concreto, cosicchè, da questa esperienza, il paziente tragga la percezione reale e concreta che è possibile fare ciò che credeva impossibile.

Soltanto in un secondo momento gli si spiegherà come ciò è avvenuto; infine, nei casi in cui ciò sia richiesto, si potranno formulare delle ipotesi circa le remote cause dei problemi.

Inoltre, per ottenere questo tipo di risposte in tempi rapidi, il terapeuta rinuncia alla pretesa di conoscere nei dettagli la situazione del paziente dato che:

“Sapere il perché un orologio antico si sia bloccato, non ci aiuta necessariamente a capire come fare a farlo ripartire” E. Chelini.

Viene quindi abbandonata l’impostazione classica, basta su un modello medico, secondo cui la terapia messa in atto solo dopo che è stata effettuata una diagnosi. Tale impostazione, che è irrinunciabile in medicina, diventa un fattore controproducente nella terapia breve strategica, dove vale il principio: << Si conosce un problema dalla sua soluzione >>. In altre parole, è solo dopo che il problema è stato risolto che è possibile, retrospettivamente, stabilire quali erano i meccanismi che ne avevano determinato la sua costruzione.

Poiché il terapeuta rinuncia alla diagnosi iniziale, è evidente che egli deve poter fare ricorso ad altri strumenti che orientino la sua condotta terapeutica, in mancanza dei quali il suo intervento sarebbe guidato solo dall’intuizione estemporanea.

Uno di questi strumenti operativi è il costrutto di << tentate soluzioni >> ovvero tutte quei comportamenti che il paziente mette in pratica e che, anzichè migliorare, alimentano il problema.


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